Miliardi di organismi, soprattutto batteri, popolano il nostro intestino. Questo popolo di microbi chiamato microbiota ci aiuta ad assimilare il cibo, ci protegge da molte malattie e ci fa stare meglio.
L’intestino non è il solo a lavorare alla digestione del cibo per l’organismo: lo aiuta una popolazione di microbi che svolge attività metaboliche e nutrizionali, ha funzione protettiva e stimola la risposta immunitaria di fronte all’attacco di agenti patogeni residenti o arrivati dall’esterno. Tutti i microrganismi dell’intestino, in parte autoctoni e in parte di origine ambientale, fanno parte del cosiddetto microbiota, ovvero l’insieme di tutti i microbi che abitano dentro e sulla superficie del nostro corpo: il loro numero è pari a 10 volte quello delle nostre cellule, che sono circa 10 mila miliardi.
Nell’intestino umano è presente il cosiddetto microbiota intestinale, un sottoinsieme del più generale microbiota, ma certamente il più ricco e importante. Pesa circa 1 chilogrammo e mezzo ed è composto da circa 500 specie di batteri diverse tra loro, divise in 45 generi e 14 famiglie: alcune sono utilissime, come Bacteroides thetaiotaomicron, che aumenta enormemente la capacità dell’organismo di metabolizzare i carboidrati, altre invece possono diventare nocive, come il Clostridium difficile, la cui azione in genere viene arginata dalla presenza di altri microbi, ma che in alcuni casi può causare diarrea e febbre.
La popolazione di microbi “buoni” dell’intestino (che sono la grande maggioranza), tra l’altro protegge l’ospite, cioè l’uomo, producendo il muco che fa da barriera tra i microrganismi e le cellule che formano le pareti dell’intestino. Inoltre stimola la risposta infiammatoria e le difese immunitarie nel caso di un attacco al nostro organismo.
il microbiota intestinale (e il relativo genoma, definito microbioma), dimostrerebbe inoltre che esiste una correlazione stretta tra ciò che mangiamo, i microbi che abitano l’intestino e il nostro stato di salute. Una dieta ricca di fibre, simile a quella dei bambini del Burkina Faso, è certo più vicina a quella originaria dell’uomo: prima dell’era industriale, infatti, la nostra specie si è nutrita per millenni di vegetali e di (poca) cacciagione.
Questo tipo di dieta darebbe origine a una maggiore biodiversità del microbiota: nell’intestino delle popolazioni di “nativi” ancora presenti sul pianeta sono state trovate il 50 per cento in più di specie di microbi rispetto a quelle contenute nell’addome di nordamericani ed europei. Basterebbe allora cambiare dieta e iniziare a mangiare alimenti ricchi di fibre (legumi, cereali integrali, frutta, verdura) per ripopolare il nostro intestino delle specie perdute? Non è esattamente così: un cambiamento di stile di vita stimola un arricchimento del microbiota, in quantità e diversità dei microrganismi, ma non è in grado di farci recuperare specie che non fossero già presenti nel nostro organismo alla nascita.